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Il Santuario di Diana |
Costruito sulla riva settentrionale del lago di Nemi, il Santuario di Diana ha
origini antichissime, probabilmente protostoriche.
Inizialmente il culto doveva svolgersi all'aperto, nel "bosco sacro" (il nemus
che ha dato il nome all'odierno paese di Nemi) e riferirsi a una divinità
silvestre. In età arcaica (fine del VI sec. a.C.) una radura nel bosco venne
dedicata a Diana, che venne adorata, probabilmente ancora in uno spiazzo aperto
e non ancora in un vero e proprio tempio, nel suo triplice aspetto di dea della
caccia, della luce notturna e delle nascite. In questo periodo il Santuario nemorense aveva anche un significato politico,
essendo fu definitivamente sciolta nel 338 a.C.
Dopo la realizzazione dell'Emissario, che risale al V sec. a.C.. il luogo di
culto fu spostato più a valle, verso la riva settentrionale del lago; nel IV
sec. a.C. sappiamo che il tempio era di tipo etrusco-italico, con struttura
lignea e rivestimento in terracotta. frontone aperto, quattro colonne sulla
fronte, ampia cella con ali laterali: così perlomeno viene rappresentato in
alcuni modellini fittili rinvenuti nel secolo scorso nell'area sacra.
Tra la fine del II e l'inizio del I sec. a.C. il Santuario subì una completa
trasformazione e, come avvenne per i coevi Santuari di Gabii, Palestrina,
Tivoli, Terracina, fu ricostruito con un aspetto monumentale. Il nuovo complesso
consisteva in una piattaforma di m. 200 x 175, sostenuta verso il lago da
costruzioni triangolari (A), verso il monte da nicchioni semicircolari (B);
interno a questi vi era un portico dorico con colonne intonacate in rosso e
trabeazione in peperino (R); la tecnica impiegata era il conglomerato
cementizio rivestito in opera incerta di peperino e basalto, materiali diffusi
nella zona, essendo di origine vulcanica.
Sulla terrazza si trovavano sacelli per divinità, adorate nel Santuario insieme
a Diana, ambienti per i sacerdoti e forse per i fedeli (F), bagni idroterapici
(i numerosi ex-voto rinvenuti testimoniano che la dea aveva anche qualità
salutari, probabilmente per la presenza nelle immediate vicinanze della fonte
della ninfa Egeria), e il Tempio di Diana, identificato con una struttura in
opera reticolata inglobata in un casale moderno (K).
Alcuni studiosi ritengono tuttavia che il tempio della divinità si trovasse su
una terrazza superiore.
Nel corso del I sec. a.C. una parte del colonnato venne chiusa, realizzando
alcune celle (M) che; per la gran quantità di stele e statue che vi si
rinvennero nel secolo scorso, vennero chiamate "donarie"; contemporaneamente
vennero realizzati, esternamente al Santuario e con un orientamento leggermente
diverso, un piccolo teatro (S) e alcune vasche per bagni (T). Restauri e
abbellimenti al complesso vennero apportati dagli imperatori giulio-claudi e,
in maniera piuttosto consistente, da Adriano.
Il Santuario fu frequentato probabilmente fino al IV sec. d.C.,
poi, con l'avvento del Cristianesimo, venne abbandonato, spogliato di marmi e
decorazioni, lasciato all'incuria degli uomini e alle devastazioni della
natura.
L'area fu scavata a partire dal XVII secolo e gran parte dei ritrovamenti finio
in musei stranieri (Copenhagen, Nottingham, Palma de Mallorca, Boston, Londra);
solo alcuni reperti rimasero in Italia (Roma, Museo di Villa Giulia e Museo
Nazionale Romano; Nemi, Palazzo Ruspoli e Museo delle Navi Romane). Gli scavi
più importanti e significativi furono quelli condotti da Lord Savile Lumley,
ambasciatore inglese a Roma, nel 1885 e quelli eseguiti da G. Gatti e L.
Morpurgo al teatro nel 1924.
Le strutture rinvenute in queste occasioni sono attualmente interrate.
Di recente la Soprintendenza Archeologica per il Lazio ha ripreso le indagini di
scavo, riportando alla luce i resti di un portico monumentale con colonne in
opera incerta e mista (reticolato e laterizi), rivestite con intonaco rosso
scanalato, conservate per un'altezza di oltre due metri, con trabeazione dorica
di peperino, costituita da capitelli con echino schiacciato e architrave a
metope e triglifi (R).
Tra il colonnato R ed il recinto esterno del Santuario a nicchioni in opera
incerta (B) si è rinvenuto un muro intermedio realizzato nella stessa tecnica
edilizia (Q), in cui si aprivano passaggi regolari, collegato al portico
antistante da un tetto di tegole, di cui si è rinvenuto il crollo, e separato
dal muro B da un colonnato in peperino di minori dimensioni (Z).
Questi resti sono databili alla fase tardo-repubblicana del complesso ed al
restauro adrianeo, peraltro attestato da iscrizioni dedicatorie rinvenute in
passato.
Il Santuario di Diana costituisce, insieme ai complessi religiosi laziali
sopracitati, un esempio di architettura scenografica, ispirata ai santuari
ellenistici della Grecia insulare: quello di Asclepio a Cos e quello di Atena
Lindia a Rodi.
Caratteristica di questi santuari monumentali è la presenza di ampi spazi
aperti, di colonnati, di piccoli edifici di culto sparsi e di un teatro, dove si
svolgevano rappresentazioni rituali legate al culto.
Comune anche agli altri santuari è la presenza di un bosco sacro, di una
sorgente di acqua e, forse, di un oracolo che dava responsi.
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